Sembrava ieri di essere a Daytona e invece siamo già a Talladega. O quasi, dato che manca ancora una settimana. Nel weekend di Pasqua la Nascar osserva il suo primo turno di pausa. E tecnicamente anche l’ultimo dato che da qui al 17 novembre Cup, Xfinity e Truck Series si fermeranno a rotazione, ma in ogni fine settimana ci sarà almeno una categoria in pista. E la Pasqua così tardiva nel calendario ha fatto sì che il break arrivi a stagione già inoltrata, dato che si sono disputate ben nove gare, che rappresentano un quarto esatto del campionato della Cup Series (36 corse) e un terzo abbondante della regular season (26), dunque si possono mettere nero su bianco le prime analisi, anche in relazione a quanto detto due mesi fa nell’anteprima.
I big 4 (+2)
Dopo Richmond è chiaro che il gruppone dei 32 piloti che hanno disputato tutte le gare si è diviso in quattro tronconi. Cinque sono i piloti che hanno vinto almeno una gara e che hanno dunque conquistato un posto ai playoff (tralasciando il fatto che per la matematica Logano e Truex non lo sono ancora ma dovrebbe succedere un evento inimmaginabile perché non avvenga ciò). Sei piloti spiccano fra gli altri e di questi quattro hanno fatto il vuoto anche in base ai punti conquistati, approfittando di ben quattro passi falsi di Keselowski, non compensati sotto questo punto di vista dalle due vittorie di Atlanta e Martinsville, e di parecchie prestazioni opache di Truex prima di Richmond.
Basta questa tabella per capire molto di quanto successo finora. Il protagonista indiscusso è stato sicuramente Kyle Busch, che con le sue tre vittorie – fra cui la n°200 in carriera – ha rubato la scena. Si parla di meno del resto dei numeri, i quali però sono altrettanto importanti. Le nove top10 nelle prime nove gare della stagione sono un dato che in Cup Series non si vedeva da quasi 30 anni. E il dato non appartiene, dunque, né a Jimmie Johnson, né a Jeff Gordon, ma neanche Dale Earnhardt, Mark Martin, Bill Elliott o gli altri protagonisti degli anni ’90-’00. Kyle Busch ha pareggiato infatti la striscia positiva di Morgan Shepherd! Per il pilota della North Carolina, tutt’ora in pista nella Xfinity Series a 77 anni, quel 1990 fu la stagione migliore della carriera (quinto in generale con una vittoria nell’ultima gara di Atlanta) e infilò addirittura 11 top10 nelle prime 11 gare, striscia alla termine della quale era addirittura in testa al campionato.
Però Kyle Busch ha evidenziato anche delle piccole crepe. Ci sono stati diversi errori e penalità che gli hanno impedito (per fortuna degli altri) di ottenere risultati ancora migliori e in una categoria così competitiva si paga tutto. Infatti, i 34 punti in meno conquistati nelle stage rispetto a Logano gli consentono di avere un margine sul pilota della #22 di soli 20 punti. Joey di solito non è un pilota che parte forte (infatti solo nel 2015, quando vinse la Daytona500, aveva portato a casa una gara così presto), ma ha fatto della costanza di rendimento un suo cavallo di battaglia. Anche l’anno scorso aveva iniziato la stagione così – a metà della regular season era ad appena 12 punti da Kyle Busch – per poi tirare il fiato e presentarsi al massimo della forma per i playoff, piano che ha poi funzionato alla perfezione. Due mesi fa il punto di domanda era la nuova Mustang e se avesse sofferto come la Camry o la Camaro nelle scorse due stagioni, ma questo non è avvenuto, sono già tre le vittorie della casa di Detroit e le prestazioni sono ad altissimi livelli ogni settimana.
124 punti – su 190 disponibili – portati a casa da Logano nelle stage (Duel di Daytona incluso) sono tantissimi dato che ha avuto solo tre gare negative (ruota malfissata ad Atlanta, assetto completamente sbagliato dopo la pole a Martinsville, cedimento del cofano in Texas) e ha mancato i punti solo in una occasione su 19, ma senza playoff points si va avanti poco in autunno, e quindi Logano compensa l’unica vittoria con ben quattro stage portate a casa.
In terza posizione c’è l’assoluta sorpresa del 2019. Dopo una stagione a secco, la prima della sua carriera, Denny Hamlin a 38 anni sembrava sul viale del tramonto e, in una squadra con Kyle Busch e l’appena acquistato Truex Jr., sembrava che il sedile da destinare nel 2020 a Christopher Bell sarebbe dovuto essere più il suo che quello di Erik Jones. E invece l’onda emozionale della scomparsa di JD Gibbs, figlio di Joe e suo mentore agli inizi della carriera, a poche settimane dalla riaccensione dei motori è stata la spinta decisiva non solo per fargli vincere una seconda Daytona500, ma per fare pure il bis in Texas, malgrado due penalità. Hamlin negli ultimi anni non è uno da risultati da copertina, anzi ha raccolto top5 e top10 nell’ombra anche se non è in giornata e il problema in caso è fargli fare il cambio di passo nel momento giusto. Anche ora, a sole due settimane dalla seconda vittoria, è ritornato in secondo piano e ora rischia di dover lottare in squadra anche con Truex, dato che Martin si è sbloccato. E con il rinnovo contrattuale di Jones in dirittura d’arrivo sembra che Bell dovrà trovare un’altro sedile in attesa che si liberi un posto al JGR.
L’ultimo pilota distante dalla vetta meno di una gara (60 punti complessivi) è un Kevin Harvick incredibilmente ancora a secco. Nelle prime gare la sua Ford dello Stewart-Haas Racing sembrava avesse un sottosterzo cronico che l’ha tenuto lontano sì dalla lotta per la vittoria, ma pur sempre nelle prime posizioni. In sintesi mancava il classico soldo per fare la lira, quel piccolo accorgimento d’assetto per far svoltare la stagione. E prima di Bristol è arrivato, ma non del tutto. In Tennessee Harvick era il favorito, tuttavia i controlli tecnici falliti per quattro volte (nuovo record) lo hanno mandato in fondo al gruppo staccato di qualche giro, e nonostante ciò ha portato a casa un incredibile 13esimo posto. A Richmond poi sono arrivati una pole valida e un ruolo ancora da favorito, ma il sogno di portare a casa la prima vittoria stagionale è durato solo per i primi 30 giri, poi si è ritornati ai temi di inizio campionato. Un Harvick comunque in ascesa e che rimane pericoloso per tutti.
Leggermente staccati – ma già vincitori – Keselowski e Truex, che hanno vissuto alti e bassi. Il pilota del team Penske ha sì vinto ad Atlanta e Martinsville, ma altri guai, come l’appuntamento mancato ancora una volta con la Daytona500 o la trasmissione rotta in Texas, gli hanno fatto perdere un sacco di punti dal rivale Kyle Busch. Malgrado ben quattro gare fuori dalla top10, Keselowski è il pilota che ha trascorso più giri in testa finora (609 contro i 599 di Rowdy) e la prossima settimana si va a Talladega quindi Brad può facilmente fare il tris. Due punti in meno ma stagione diversa per Truex, che non ha faticato tanto per ambientarsi al JGR, tuttavia comunque ha dovuto aspettare la nona gara e l’amata-odiata Richmond per portare a casa la prima vittoria. Per il resto vale il discorso di Harvick, sembrava che mancasse sempre quel qualcosina per ottenere il successo, solo che a differenza di Kevin è arrivato prima del break.
Le nove vittorie sono tutte qui e come avrete capito sono state spartite fra Joe Gibbs Racing (sei, tre per Kyle Busch, due per Hamlin e una per Truex) e Team Penske (tre, due di Keselowski e una di Logano). Tutti gli altri – cosa mai successa nell’era moderna della Nascar – sono ancora a bocca asciutta e pertanto dovranno lavorare sodo anche in questa pausa.
I primi inseguitori
Il secondo gruppo della classifica è composto da cinque piloti che sono presenza fissa nella top10, ma che per un motivo o per l’altro non hanno conquistato ancora una vittoria.
Senza ombra di dubbio possiamo dire che Kurt Busch sia stato finora il migliore pilota della Chevrolet e prevederlo non era facile, dato che proveniva dalle Ford dello SHR. Invece il pilota di Las Vegas ha portato tutta la sua esperienza al team Ganassi per ottenere risultati consistenti e lottare per la vittoria in qualche occasione, come a Bristol dove si è dovuto arrendere soltanto al fratello Kyle. E poi si sa che Kurt rende meglio quando è in scadenza di contratto; sarà per questo che ha firmato (intanto) per solo una stagione?
C’erano invece dei dubbi sulle conferme di Bowyer e Almirola dopo il 2018 in cui hanno rilanciato la loro carriera rispettivamente con due e una vittoria. E invece il duo dello SHR, malgrado l’età che avanza, si è confermato ad alti livelli ed hanno pagato l’inizio di stagione nebuloso della squadra, ma comunque sono sempre lì. Ad esempio Bowyer ha lottato per la vittoria in tutte le ultime tre gare mentre Almirola avrebbe decisamente più punti in classifica se non si fosse ritirato a Bristol dopo appena 3 giri su 500 e se a Richmond non avesse preso una penalità nel finale di gara, una 30ina di punti persi che lo avrebbero messo in testa a questo gruppetto anziché in coda.
Diverso il discorso di Ryan Blaney, il principe della sfortuna finora. Sicuramente mastica amaro dato il dominio del Team Penske nelle prime gare. 31° a Daytona, 22° ad Atlanta e Las Vegas per due problemi distinti alle gomme e sempre nel finale di gara sono un modo orribile di iniziare la stagione, ma da allora si è ripreso e, escluso il motore ko in Texas (dove poteva vincere) e il passaggio a vuoto di Richmond, ovale che ancora non digerisce, ha portato a casa quattro top5 e ben 353 giri in testa, terzo in questa classifica dietro soltanto a Keselowski e Ky.Busch. Ora per Ryan l’importante è non farsi prendere dalla frenesia, ma solo consolidare ulteriormente la classifica e al momento giusto cogliere l’occasione per andare in victory lane.
Per Chase Elliott possiamo solo sperare che il team Hendrick ritorni sulla strada giusta, dato che la Chevy Camaro col pacchetto 2019 sembra tornata quella di inizio 2018, quando – esclusa la Daytona500 – dovette aspettare Chase per portarla alla vittoria anche su ovali tradizionali, e anche lì si dovette attendere molto. Esclusa l’ottima prestazione di Martinsville, secondo dietro a Keselowski, il miglior risultato di Chase è il nono posto di Las Vegas e ciò è un segnale preoccupante. Il talento non manca, ma vederlo “sprecato” così dispiace, ma di questo tema ne parlerò più tardi riguardo anche qualcun altro.
La lotta per i playoff
Dodici piloti in soli 68 punti. Ok, non tutti questi hanno le stesse chance di entrare nella top16, ma il terzo gruppo è bello compatto. Ogni gara che passa c’è qualcuno che tenta la fuga in testa per passare nel gruppo superiore o che è vittima di una gara storta e retrocede in quello inferiore, ma neanche io mi potevo immaginare una battaglia punto a punto per gli ultimi posti dei playoff.
Daniel Suarez e Jimmie Johnson stanno cercando di uscire dalla sabbie mobili, ma entrambi rischiano di ricaderci. Per il pilota messicano il +9 in classifica rispetto allo stesso punto dell’anno scorso è già un ottimo risultato, coronato dal terzo posto in Texas. Rimangono però troppi errori, tra penalità sue e del team, e i punti persi rischiano di essere pagati al termine della regular season. Per Johnson invece vale il discorso fatto in precedenza con Elliott. Il team Hendrick è in fase di ricostruzione, con lui come veterano affiancato da tre giovani. E con la #48 l’effetto nuovo crew chief non si è fatto vedere tanto. La pole conquistata in Texas sembrava la fine delle difficoltà e il quinto posto finale è stato il miglior risultato dal maggio scorso, ma continuano le difficoltà generalizzate nella squadra. Perché non c’è segnale più brutto di quattro vetture dello stesso team che non solo vanno piano, ma che vanno pure lente uguale.
Ma entriamo nella lotta vera per i playoff che al momento vede otto piloti racchiusi in appena 30 punti e che si contendono soli tre posti. Parlare uno alla volta di tutti è inutile oltre che fuorviante, dato che spesso durante la gara eventuali problemi o difficoltà di questi passano in secondo piano oppure non si ha neanche il tempo di parlarne in diretta e quindi si rischia di descrivere ora un quadro non veritiero. Quello che però salta all’occhio sono le prestazioni di Austin Dillon e Ricky Stenhouse, coloro che all’apparenza hanno beneficiato di più del nuovo pacchetto aerodinamico introdotto quest’anno. I due piloti hanno infatti fatto parlare di sé al venerdì dopo le qualifiche, dato che spesso hanno lottato per le prime posizioni in griglia, ma poi la gara è tutta un’altra cosa. Entrambi, pur disputando delle gare positive, hanno dimostrato velocità solo a inizio gara e sullo short run, poi con il proseguire della corsa sono ritornati sui loro standard degli anni scorsi e infatti la classifica lo dimostra. Anzi, ad Austin manca anche la vittoria ottenuta alla Daytona500 (è per quello che c’è l’asterisco nella tabella, infatti nella griglia playoff del 2018 Dillon era quinto, ma in base ai soli punti conquistati sarebbe stato 14°) che gli aveva già consegnato un biglietto per i playoff, dunque per lui la strada è in salita.
Tra gli up&down vediamo in ascesa gli outsider e in discesa i big. Se Erik Jones ha pagato un inizio di stagione sfortunato “alla Blaney” e la coppia Byron-Bowman (con Alex praticamente invisibile in questo 2019) soffre la ricostruzione del team Hendrick e la Chevy non performante, con delle piccole luci dal punto di vista della nuova coppia Byron-Knaus, in quanto il nuovo crew chief in qualche occasione ha messo William nelle prime posizioni senza tuttavia metterlo in pericolo come successo nel 2018, drammatica è la situazione di Kyle Larson, in quanto vittima di entrambe le situazioni e inoltre l’arrivo di un compagno di squadra come Kurt Busch lo ha messo ulteriormente in difficoltà.
Kyle purtroppo ha ereditato la “sindrome da secondo posto” da Chase Elliott ed ora è in evidente difficoltà psicologica, come evidenzia l’intervista dopo il ritiro per incidente di Richmond. Larson è a secco da ormai quasi 60 gare e l’annata è iniziata con un’altra sconfitta al Chili Bowl, ma nessuno poteva immaginarsi un dramma del genere che al momento – addirittura – lo vedrebbe fuori dai playoff. Il talento non gli manca ma a questo punto, perché non vada perso, sembra che solo un cambio d’aria lo potrebbe far tornare in victory lane. Il problema è che – al momento – di sedili liberi in altre squadre non se ne vedono e inoltre forse solo Chip Ganassi si fida così tanto di lui al punto da fargli correre (quasi) tutte le gare che vuole con le sprint car.
A beneficiare delle difficoltà di questi quattro big sono due outsider come Newman e Menard. Ryan sta ricostruendo con buoni risultati il Roush Fenway Racing anche al di fuori degli superspeedway e le due top10 di Bristol e Richmond sono solo l’inizio, o almeno lo si spera. Per quanto riguarda invece Paul e il Wood Brothers c’è da dire che anche l’anno scorso iniziarono bene per poi spegnersi al momento decisivo, ma Menard continua a dimostrarsi un buon pilota che ora deve trovare la costanza di rendimento degli anni buoni del RCR.
Leggermente più staccati, ma degni di essere citati in questo gruppo, sono Ty Dillon e Chris Buescher. Per il fratellino di Austin ed il Germain Racing stanno arrivando buoni risultati che li stanno facendo uscire dai bassifondi della top20 con regolarità e la stage vinta (di strategia, ma battendo alla pari Clint Bowyer) a Bristol ne è la dimostrazione. Allo stesso modo Buescher nelle ultime due gare sugli short track ha dimostrato di valere la top10 e a lungo è stato nella top5. Poi a Bristol ha dovuto fare una sosta imprevista, mentre a Richmond ha pagato la pista che si gommava dopo la pioggia della notte precedente, ma comunque è nella posizione per piazzare un colpo di scena così come fece tre anni fa nel nebbione di Pocono.
La coda del gruppo
In fondo alla classifica ci sono i piloti che era lecito aspettarsi qui, ma non per questo non meritano di essere esclusi da questo mio primo bilancio stagionale.
A guidare l’inseguimento c’è Matt DiBenedetto, nel limbo tra terzo e quarto gruppo. Il passaggio al LFR ha sicuramente migliorato le prestazioni del pilota di origini italiane, anche oltre le aspettative: a Daytona ha passato 49 giri (quasi un quarto di gara) in testa e fino all’ultimo big one è stato in lotta addirittura per la vittoria, poi sono seguite altre buone prestazione fra top15 e top20, a Bristol era sesto nel finale prima di terminare 12° e infine la prima vera gara negativa è arrivata solo a Richmond, fatto che comunque non macchia un campionato finora ottimo.
Ryan Preece invece guida la classifica dei rookie e ha fatto valere la sua esperienza sugli short track per portare a casa due top20 a Martinsville e Richmond, ma gli applausi sono arrivati soprattutto per la sua abilità nell’evitare per un pelo gli incidenti davanti a lui. I suoi rivali fra i debuttanti, Hemric e Tifft, sono già staccati, ma per motivi diversi. Hemric dopo le prime due gare eccezionali, ha pagato – a suo dire – un po’ di situazioni sfortunate che lo hanno risucchiato in fondo al gruppo, però forse ci si aspettava un po’ di più da lui, vista la vettura del RCR a sua disposizione. Tifft invece, come previsto, si è dimostrato un discreto pilota ma probabilmente non ancora pronto per la Cup Series, tuttavia non gli si può rimproverare nulla. Ha preso un’occasione al volo e la terza auto del Front Row Motorsports non è certamente l’ideale per ottenere risultati da copertina, e anche i suoi compagni di squadra Ragan e McDowell quest’anno non è che stiano facendo tanto meglio, con David più costante (16° ad Atlanta) e Michael con due buoni risultati (quinto a Daytona e 15° in Texas).
Descrivere la situazione di Bubba Wallace è difficile. Per i mezzi che ha sta facendo il suo, ma alla seconda stagione in Cup Series forse si poteva sperare in un piccolo ulteriore miglioramento. Tuttavia la situazione del Richard Petty (di fatto solo di nome) Motorsports non è delle migliori ed è paragonabile a quella della Williams in F1, un team che ha fatto la storia ma che ora naviga a vista in fondo alla classifica. Per chiudere, LaJoie e Cassill stanno facendo quanto possono con le vetture del Go Fas e dello StarCom Racing. Corey è leggermente sotto alle prestazioni di DiBenedetto del 2018, ma non di molto mentre Landon punta a non combinare danni e ci sta riuscendo: a parte i problemi meccanici, Landon è finito a muro soltanto nell’ultimo big one della Daytona500 quando era 20°, dunque si può dire che il team di Derrike Cope – fondato meno di due anni fa – sta crescendo e pare in salute, a differenza di altre avventure che in Nascar ogni tanto si vedono, vedi l’Obaika Racing che aveva annunciato di voler disputare tutta la stagione ma che in pista non si è ancora presentato.
Xfinity e Truck Series
Per quanto riguarda la Xfinity Series (otto gare su 26 della regular season e 33 totali disputate), l’abbandono di team nobili come il #42 del Team Ganassi, il #16 e il #60 del Roush Fenway, il #8 del JR Motorsports (che ha piloti a rotazione) e il #21 di Richard Childress (part-time) ha ridotto i ranghi dei team in lotta per i playoff a sole 13 unità. E dato che i posti disponibili sono 12, l’attenzione è tutta su chi sarà l’escluso eccellente. Il “favorito” per questa corsa dopo i risultati degli anni passati, Michael Annett, si è tirato fuori subito andando a vincere a sorpresa a Daytona e così il testimone è passato a Ross Chastain, fregato prima dallo sponsor DC Solar (messo sotto indagine dall’FBI e poi in pratica fallito e che gli ha distrutto il sogno chiamato Ganassi) e poi dalla flessione evidente rispetto al 2018 della vettura #4 del JD Motorsports a cui è dovuto tornare. Le gare sporadiche che disputerà con il Kaulig Racing sono chance da sfruttare al massimo e a Talladega avrà la seconda possibilità.
Per quanto riguarda la vetta della classifica, nessuno pare essere esente da errori. Bell ha vinto due volte, ma altrettanti sono i risultati sotto la media, e lo stesso si può dire per Custer e infatti i due sono separati da soli cinque punti; dietro di loro c’è Annett, tecnicamente terzo nella griglia playoff ma in realtà settimo per punti. E così a guidare la classifica generale c’è Tyler Reddick, il campione in carica che nonostante il trasferimento al RCR ha fatto della costanza di rendimento il suo punto di forza, pur senza vincere.
Il grande deluso finora è sicuramente Justin Allgaier, protagonista di numerose gare sfortunate – prima fa tutte Bristol – e che ora è staccato già di 87 punti dalla vetta e così il pilota di Dale Jr. è finito nel secondo gruppo. Per quanto riguarda gli altri, da notare il percorso di crescita dei giovani come Cindric, Nemechek e Briscoe, i rookie Gragson ed Haley che dopo l’assestamento iniziale sono costantemente nelle prime posizioni, la sorpresa Sieg – paragonabile al Chastain dell’anno scorso vista la vettura a disposizione – e l’incognita Brandon Jones, che dopo un inizio eccellente è ritornato sui suoi livelli e, unico dei top13, paga tre ritiri.
Anche nella Truck Series (cinque gare su 16 della regular season e 23 totali disputate) Daytona ha portato un vincitore a sorpresa: Austin Hill ha portato a casa un (quasi certo) posto ai playoff dopo un inverno in cui era stato “accusato” di aver preso il posto del campione in carica Moffitt solo grazie ai soldi dello sponsor. Poi Kyle Busch ha rubato la scena con quattro vittorie in quattro gare; per fortuna degli altri Rowdy ha ancora solo un’altra gara a disposizione a maggio a Charlotte. Poi per Austin sono arrivate un paio di gare con problemi meccanici e la vittoria di Daytona diventa ogni settimana che passa sempre più importante, dato che altrimenti avrebbe pochi punti di margine sul taglio.
E così in vetta alla generale c’è il canadese Friesen, malgrado sia ancora alla caccia della prima vittoria in carriera, ma ogni settimana la classifica cambia dati i distacchi ridottissimi alle sue spalle. I suoi risultati in fondo sono equivalenti a quelli di Enfinger, mentre Rhodes – il pilota che ha ottenuto più punti nelle stage – paga il problema meccanico (come al suo solito) di Las Vegas. Dietro di loro, ma sempre a meno di 30 punti dalla vetta, ci sono tre big come Sauter, Moffitt e Crafton, con Johnny che è tornato al ThorSport dopo un inverno turbolento dato che è stato scaricato dal GMS Racing a favore di Moffitt, mentre Crafton è senza vittorie da ormai un anno e mezzo. In coda, separati da un solo punto, il duo dei figli d’arte del Kyle Busch Motorsports, con Todd Gilliland ad oggi davanti ad Harrison Burton; Harrison paga caro il ritiro in Texas, ma al momento ha convinto molto più di Todd, al punto che è stato lui a debuttare in Xfinity Series a Bristol e Gilliland è stato addirittura punzecchiato riguardo al suo rendimento da Busch in una intervista il mese scorso. Il rookie Creed – che chiude la top10 – non rappresenta al momento per lui un pericolo, ma Todd deve darsi una mossa ed evitare di alternarsi fra mosse azzardate, di cui è stato protagonista finora in più di qualche occasione, e prestazioni completamente opache.
Considerazioni finali
Sono passate nove gare e la Cup Series ha affrontato circuiti di ogni tipo (mancano solo gli stradali e a Sonoma mancano ancora un paio di mesi) e dunque si può parlare di come il nuovo pacchetto aero ha influito sullo svolgimento della corsa. Se ci si basa sulle premesse e promesse fatte dai vertici della Nascar, allora le modifiche non sono state un successo. Il pack racing tanto annunciato non c’è stato, se non nella pancia del gruppo e soltanto per qualche giro in più dopo la ripartenza. Anzi, con lo spoiler maggiorato l’effetto scia che sul dritto permette di accorciare le distanze da chi ti precede, in curva invece genera un vortice d’aria turbolenta ancora più grande e stare vicini è difficile. Per questo il numero di sorpassi è generalmente diminuito e i piloti – oltre a lamentarsi da mesi riguardo a questo – fanno una gran fatica a guadagnare posizioni. Se a questo aggiungiamo il fatto che pure in short track come Martinsville, Bristol e Richmond l’aerodinamica è diventata influente, il segnale non è decisamente buono.
A queste discussioni si è legato a stretto giro il problema delle qualifiche. Che la scia nel giro lanciato sugli speedway (gli ovali più lunghi di 1.5 miglia) sarebbe stata fondamentale lo si era capito fin dall’annuncio dell’anno scorso. Ma nonostante questo la Nascar aveva confermato il format “di gruppo” in stile F1. E dopo le avvisaglie di Atlanta e Las Vegas è arrivata la debacle di Fontana dove i piloti, nell’attesa di un volontario che aprisse l’aria a tutti con il suo maxi-spolier, hanno finito per aspettare troppo e nessuno ha segnato un tempo cronometrato nel terzo e decisivo round. La Nascar ha preso delle immediate precauzioni, ma ovviamente non erano quelle corrette e quindi in Texas ci sono state ulteriori polemiche. A Richmond sono arrivati poi altri esperimenti (durata dei tre round ridotta a soli cinque minuti) e ora nell’aria circolano voci di ulteriori cambiamenti. In sintesi c’è poca lucidità, quella che invece servirebbe in un momento particolarmente critico per questa categoria.
Almeno a Talladega non ci saranno litigi. Ah no, debutta il pacchetto aerodinamico (spoiler da 9″ per impedire velocità eccessive dato che ci saranno circa 100 CV in più rispetto al passato) che compensa la sostituzione della storica restrictor plate con il più moderno tapered spacer. Non se ne uscirà mai, ogni settimana nasce una polemica diversa di cui si potrebbe fare benissimo a meno.
Qui potete trovare le classifiche complete di Cup, Xfinity e Truck Series
Fonti: racing-reference.info; en.wikipedia.org; twitter.com (@TonyD1798 per il dato statistico su Morgan Shepherd)
Immagini: GettyImages per cupscene.com; HHP/Garry Eller per speedsport.com; motorsport images-LAT per autoweek.com; Nascar Digital Media per nascar.com; foxsports.com; LAT Images per racer.com
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.