Sono passati da poco 25 anni da quella che è considerata quasi unanimemente la gara più bella nei quasi 70 anni di storia delle Stock Car americane. Quel giorno di novembre ad Atlanta ben sei piloti si contesero il titolo nel gran finale della stagione 1992, ma ci furono molti altri incroci col destino. Sarà un lungo racconto in tre parti di una storia che mi ha conquistato totalmente e di cui ho voluto approfondire tutti gli aspetti riguardanti sia la gara, sia gli eventi che sono avvenuti prima e dopo quel giorno.
1992: le premesse
La stagione 1992 inizia il 1° ottobre 1991, quando Richard Petty annuncia che l’anno seguente sarebbe stato l’ultimo di una carriera iniziata nel 1958. A 55 anni “The King” ormai è da parecchio sul viale del tramonto: l’ultima vittoria, la storica 200esima, risale al 4 luglio del 1984, quando in un clima magico il presidente Ronald Reagan diede il comando di accendere i motori dall’Air Force One e poi guardò la gara dalla tribuna stampa.
Il 1992 divenne così un grande tour d’addio con omaggi su ogni pista ma ben pochi risultati. Otto anni dopo l’ultima vittoria, sempre a Daytona, arrivarono gli ultimi giri in testa ad una gara ma poi disputò da comprimario tutto il resto della stagione, fino all’ultima gara ad Atlanta.
Per fortuna il campionato fu avvincente ed emozionante di suo, tant’è che al gran finale arrivarono in corsa per il titolo, senza bisogno di playoff, stage o punteggi complicati, ben sei piloti: con 185 punti in palio Davey Allison si presentò all’atto decisivo con appena 30 punti su Alan Kulwicki, 40 su Bill Elliott e, leggermente più staccati, Harry Gant (-97), Kyle Petty (-98) e Mark Martin (-113). Voi tutti direte: e Dale Earnhardt? Incredibile per lui ma il 1992 fu un “annus horribilis” con una sola vittoria in stagione e un deludente 11° posto in classifica generale.
Davey Allison si presenta ad Atlanta in testa al campionato e – ovviamente – da favorito nonostante una stagione complicata: vinse sì la Daytona500 e altre quattro gare, tra cui l’ultima disputata a Phoenix, ma fu vittima di molti incidenti. Vinse a North Wilkesboro nonostante una spalla infortunata a Bristol, vinse a Talladega nonostante un incidente a Martinsville che gli aveva riacutizzato il dolore alle costole sempre infortunate a Bristol, un altro botto nella All-Star Race lo lasciò senza conoscenza nell’auto e con un trauma cranico; l’incidente era avvenuto appena dopo il traguardo che Davey aveva tagliato vittorioso.
Dopo tre gravi incidenti Allison sembrava immortale e pure vinceva. Ma gli ultimi due colpi furono i più duri: a Pocono il quarto botto fu il più grave e ne uscì con un braccio rotto e un’altra commozione cerebrale. Nonostante ciò alla gara successiva riuscì a prendere il via per conquistare i punti, ma poi cedette il sedile a Bobby Hillin. Infine, il colpo da KO: nelle libere della gara Busch (ora Xfinity) Series in Michigan suo fratello Clifford morì in un incidente quattro dopo anni dopo che loro padre Bobby aveva rischiato la stessa fine. Allison arriva ad Atlanta in testa al campionato, pronto a vincere per sé, per la sua famiglia e per il suo team che lo ha aiutato ad arrivare fin lì malgrado quello che era successo.
15 novembre: il grande giorno
Nel primo giorno delle qualifiche Rick Mast si prende la pole, la prima della sua carriera e l’ultima della storia della Oldsmobile, ad oltre 180 mi/h. Allora Atlanta non aveva il layout attuale ma era un ovale simmetrico da 1.5 miglia molto simile a come è oggi Homestead, tracciato che ha ereditato il ruolo di finale di stagione dal circuito della Georgia.
Tra i 20 qualificati del primo giorno ci sono Mark Martin 4°, Bill Elliott 11°, Alan Kulwicki 14°, Davey Allison 17° e Kyle Petty 20°. Un influenzato Harry Gant invece deve ricorrere al secondo giorno di qualifiche.
In questa occasione fa notizia un giovane debuttante: il 21enne Jeff Gordon, reduce da una buona stagione nella Busch Series, è il più veloce e partirà per la sua prima gara in Cup Series dal 21° posto. Harry Gant al via è solo 29° mentre Richard Petty trema: decide di tenere il tempo ottenuto il primo giorno e scivola fino al 39° posto sui 40 disponibili. Potrà dunque disputare la 1184esima e ultima gara in carriera.
A Davey Allison per conquistare il titolo basta un 6° posto e anche in base alle posizioni in partenza sarebbe campione, ma la sua gara si complica subito. Al 2° giro Rick Mast e Brett Bodine, partiti in prima fila, entrano in contatto. Nel parapiglia che segue Hut Stricklin tocca Allison danneggiandogli il passaruota posteriore sinistro. La sua vettura non sarà più del tutto a posto mentre Elliott e Kulwicki si salvano per un pelo. 500 miglia tuttavia sono lunghe e tutto può succedere.
Tecnicamente sono in sei in lotta per il titolo ma è chiaro che la vera sfida sarà tra i primi tre. E infatti in pista inizia subito il duello fra Elliott e Kulwicki, che recuperano posizioni, mentre Allison gestisce sperando in una caution. La situazione per Davey comincia a farsi tesa attorno al giro 40, quando virtualmente i punti di vantaggio sono meno di 10. Intanto in testa c’è Dale Earnhardt, tuttavia l’illusione per lui dura poco: al giro 60 rimane a secco e dà inizio al giro di soste. Il primo dei sei contendenti a fermarsi è Kyle Petty, ma poco dopo Michael Waltrip va in testacoda, causando una caution nel mezzo dei pit stop. Il sogno di vincere il titolo nel giorno del ritiro di suo padre finisce ora, dato che Kyle viene doppiato e lo rimarrà per gran parte della gara.
Elliott, Kulwicki e Allison non hanno ancora effettuato la prima sosta e ne approfittano: Bill passa al comando della gara e si prende 5 punti bonus fondamentali; il pit stop non modifica l’ordine relativo dei tre, tuttavia Kulwicki perde la prima marcia, così come gli era successo a Richmond. Per lui ogni ripartenza dopo una sosta sarà a rilento, ma tutto sommato non perderà troppo tempo.
Alla ripartenza Kulwicki segue Elliott come un’ombra, così come ha fatto da inizio gara; si capisce che Alan ha qualcosa di più sul livello psicologico in questo confronto. E ai giri 73 e 80 punzecchia Elliott: dalla bandiera verde è sempre affiancato a Bill e in quelle due tornate mette sulla linea del traguardo il muso della sua #7 davanti a quello della #11, prendendosi intanto i 5 punti di bonus, ma solo alla fine scopriremo il valore di questi 2 giri passati tecnicamente in testa alla gara. In seguito prima Elliott e poi un rimontante Martin, la cui unica speranza è quella di vincere la corsa e gufare gli altri, passano in prima posizione.
Allison non può più stare a guardare e alla sosta della successiva caution al giro 85 cambia solo due gomme passando in testa alla gara e conquistando anche lui i 5 punti di bonus. Alla ripartenza, il caos. Schrader e Trickle entrano in contatto e quasi bloccano il rettilineo principale; le vittime eccellenti sono Darrell Waltrip e Richard Petty, il quale finisce all’interno della prima curva con il muso in fiamme a causa della rottura del radiatore dell’olio. Per lui la gara e la carriera sembrano finite al giro 96.
Altra ripartenza a circa un terzo di gara (sono 328 i giri totali) cinque dei sei piloti in lotta sono nella top5 con Kyle Petty unico assente mentre Harry Gant è lì soltanto per una strategia azzeccata; questa non è la sua giornata e chiuderà staccato e doppiato dopo una sosta supplementare e fuori sequenza.
Allison, data la sua strategia, non è velocissimo e Mark Martin passa in testa ma il suo sogno dura appena 44 giri dato che prima viene sorpassato da Elliott e Kulwicki e poi a metà gara sarà costretto al ritiro per la rottura del motore. Davey cede ma si assesta in sesta-settima posizione prima di un altro giro di soste. A metà gara finisce anche la gara di Jeff Gordon, a muro non inquadrato in curva 2. Una prima riparazione ai box non avrà buon fine, anzi, come si saprà in seguito, sarà in parte decisiva per il campionato. I meccanici (il team #24 creato apposta per Gordon verrà chiamato scherzosamente “la banda degli incompetenti” dal loro crew chief Ray Evernham) dimenticano sul tetto della vettura un rotolo di nastro adesivo. Al rientro in pista questo cade sull’asfalto e viene centrato da Davey Allison bucandogli il passaruota anteriore sinistro. Già in pista con una vettura danneggiata, il pomeriggio di Allison si complica ulteriormente.
Nel 1992 l’informatica è solo agli albori e al giro 190 una sovraimpressione mette in difficoltà i commentatori: Bill Elliott, che tra l’altro gioca in casa, è in testa ed è colui che al momento ha trascorso più giri al comando, assegnandogli virtualmente altri 5 punti; con Kulwicki 2° e Allison 8° la situazione vede Davey in testa al campionato con soli 2 punti su Bill e Alan. Durante la pubblicità c’è una indaffarata ricerca su chi vincerebbe in caso di parità; in poco si scopre che il tie-break andrebbe ad Elliott in virtù delle 4 vittorie (consecutive) ottenute contro le 2 di Kulwicki, ma Allison ne ha 5 e quindi – nel caso di parità fra loro due – se Bill ottenesse la quinta bisognerebbe guardare… Per fortuna il rientro in diretta evita ulteriori discussioni e la telecronaca può proseguire.
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